Gilles Villeneuve, “l’Aviatore” è volato via quarant’anni fa


A quasi mezzo secolo dal suo incidente mortale in Belgio, ripercorriamo i passi più sbalorditivi della carriera dell’acrobatico pilota canadese. Il più amato da Enzo Ferrari
Zolder, sabato 8 maggio 1982. L’ultimo passaggio di una magica stella cometa luminosa, brillante e inimitabile, avviene alle qualifiche del gran Premio del Belgio. Quando gli dèi abbandonano al destino il proprio eletto, la conclusione non può che essere tragica. Gilles Villeneuve, il pilota dal sangue caldo arrivato dal freddo canadese, era nato il 18 gennaio 1950. Si scoprirà poi che si era “ringiovanito” di due anni per essere meglio accettato nell’ambiente dell’automobilismo, per cercare di garantirsi carriera e credibilità più lunghe. L’ingegnere Mauro Forghieri, che lo conobbe bene, lo definì “una forza della natura”. Mai battuto, sempre pronto ad accettare la sfida: “Finché la vettura andrà avanti, io la guiderò”. Gilles, ambasciatore della febbre della velocità, contagiò milioni di tifosi con la “Febbre Villeneuve”.
Pieno di talento, esuberante nel controllo della vettura al limite, scivolava sbarazzino sulla lama che taglia il confine tra il l’asfalto e la polvere del fuori pista. Solo lui riusciva a stupire sempre, con prestazioni ogni volta magistrali, nonostante vetture non sempre all’altezza della sua levatura. Gilles non guidò mai al risparmio, al compromesso, al tirare a campare, come spesso molti colleghi dovevano fare per la manifesta inferiorità del mezzo, e per portare a casa tutte le ossa al loro posto. Il pilotare al limite era la sua dimensione, dove il tempo e lo spazio si confrontavano nello stato di assoluta inimitabile esaltazione per cui le leggi della fisica si piegavano al suo ardire.
Campione del mondo di motoslitte nel 1974 e di Formula Atlantic in Usa e Canada nel 1976 e 1977, Gilles Villeneuve si mette in evidenza in una gara a Trois Rivieres tra campioni locali e piloti di Formula 1 dove viene adocchiato da James Hunt che lo segnalerà al team manager della McLaren, Teddy Mayer. Anche Chris Amon, ex pilota della Ferrari, ne ammira la guida e ne segnala le doti. Debutta poi in Formula 1 nel 1977 a Silverstone con la McLaren. Pur senza conoscere il circuito, si qualifica ottavo; in gara lotta a lungo nei primi finché un problema al motore lo porta ai box facendolo concludere nono. Poi il silenzio, nessuno più lo chiama. Finché Niki Lauda lascia la Ferrari e il Gran Vecchio decide di ingaggiare questo sconosciuto segnalato, anche, da Chris Amon.
Gli inizi non sono incoraggianti, tant’è che dopo due gare disputate con la Rossa, annovera un congruo numero di testa coda e incidenti per cui gli viene appiccicato il poco onorevole nomignolo di “Aviatore”. Per fargli capire i danni che ha combinato, in un piazzale della Ferrari, Franco Gozzi fa disporre i pezzi della vettura distrutta in Giappone perché comprenda che le autovettura vanno rispettate e, soprattutto, costano. Ferrari l’aveva messo in conto che la gavetta era indispensabile, ma anche era convinto che il pilota avesse delle doti grezze da far brillare. Nel 1978 Gilles Villeneuve riesce a vincere il Gran Premio di Canada dopo una stagione di alti e bassi dovuti anche alla sperimentazione degli pneumatici radiali Michelin. Intanto Mario Andretti diventa campione del mondo con tutta la magia dell’effetto suolo della Lotus 79.
Nel 1979 Gilles viene definitivamente consacrato nell’immaginario collettivo come il pilota senza paura le cui prodezze sono memorabili. Incredibile il duello con la Renault di René Arnoux al Gran Premio di Francia. Chi scrive allora era un ragazzino e ancora ricorda l’emozione di una calda domenica di luglio assieme ai tifosi di un bar dove per tutti vi fu la certezza di avere assistito a un evento strepitoso. Sportellate, ruote fumanti, sorpassi e contro sorpassi e, soprattutto, la vittoria con la Rossa. Ce n’era abbastanza per sognare e consumarsi gli occhi a leggere ettolitri di inchiostro stampato, diviso tra chi aveva apprezzato quella lotta selvaggia e chi rimpiangeva lo stile preciso di Lauda.
A Zandvoort, in Olanda, dopo un sorpasso da accademia all’esterno della curva Tarzan ai danni della Williams di Alan Jones, Gilles prende il largo. Ma dura poco, perché lo penumatico posteriore sinistro sta cedendo. Non rientra ai box. Scoppia il pneumatico e Jones lo supera. Gara finita? Nossignore. Villeneuve riparte come se non ci fosse un domani ed esegue un giro pressoché completo su tre ruote (in alcuni punti, con l’equilibrio di sole due). Nessun pilota avrebbe guidato un’auto per tre quarti di pista dopo una foratura. A parte lui che, dall’abitacolo, non si è reso conto dell’esagerata velocità mantenuta e della sospensione posteriore che si stava demolendo. Arrivato ai box, il retrotreno della Ferrari era da ricostruire. Sceso dall’auto, si accorge dell’impossibilità di una riparazione e comprende di aver perduto ogni chances per il titolo mondiale. Anche in quell’occasione, l’inchiostro della stampa è scorso a fiumi. Ma Enzo Ferrari disse che il suo temperamento ricordava niente meno che Tazio Nuvolari.
Poi ci fu il 1980, per la Ferrari l’annus horribilis. Il pilota canadese, nonostante ciò, riuscì a fare prodezze. Maranello pensava già al turbo e la 312 T5, l’evoluzione della 312 T4 campione del mondo, nulla poteva contro lo strapotere dell’effetto suolo sviluppato dagli inglesi e alla qualità degli pneumatici Michelin, sviluppati a vantaggio della Renault. Eppure Gilles non si diede mai per vinto e si esibì in prestazioni impressionanti. A Montecarlo dopo un avvio rallentato dall’incidente di Daly con un perfetto volo sulla Tyrrell, il canadese combattè feroce. Seppure ritardato da un cambio gomme al 22° giro e ripartito 14°, giunse quinto al traguardo. Quell’anno fu terribile l’incidente a Imola, nel curvone che precede la Tosa a causa di una minigonna che tagliò il penumatico posteriore della Ferrari lanciata a oltre 250 km/h. La collusione fu spaventosa, con la Ferrari che perdeva pezzi come la scia luminosa di una stella cometa. Nel silenzio cupo della folla, Gilles scese dal relitto della Ferrari senza un graffio. Era un Dio, il figlio predestinato della velocità. In quell’anno, ogni gara era una antologia del limite, una lectio magistralis dell’abc del talento divino. Che la Ferrari volesse, o meno, volare, lui lo faceva. E, sotto lo stress dell’indemoniato canadese, i pezzi meccanici si rompevano indicando i settori dove il comparto vettura era critico o sottodimensionato. Interessante a questo proposito rivedere il Gran Premio di Argentina per la grinta dimostrata in pista fino alla rottura della sospensione anteriore sinistra (era secondo) dopo qualche escursione quasi rallystica. Ma anche in Francia a Le Castellet, dopo un incidente in prova per cui rimediò un graffio al viso, fece una gara pazzesca nonostante una vettura palesemente meno veloce. Nuvolari diceva che se un percorso aveva molte curve, rivelava altrettante “risorse” per correre veloci. Ebbene, Villeneuve in Francia aveva inventato le curve anche nei rettilinei.
Nel 1981 arriva il turbo. La vettura è acerba ma ha un buon potenziale. Telaio mediocre ma se ci sai fare… A Imola, dopo la pole position, Gilles Villeneuve anticipa un cambio gomme sotto una gara bagnata per montare le slick. Sbaglia completamente, ma dopo un secondo pit-stop per montare le rain fa a ripetizione il giro più veloce, l’urlo rabbioso di un leone inferocito. Arriva Montecarlo, un percorso da molti definito a vetture sovralimentata. Invece Gilles trionfa con un ritmo da metronomo. In qualifica, poi, raggiunge il secondo miglior tempo con la vettura sempre di traverso nella discesa che conduce dal Casino alla Mirabeau alta. Ancora, in Spagna è l’apoteosi: con una vettura veloce in rettilineo ma deficitaria in curva, tiene a bada quattro feroci piloti che non riescono a capacitarsi di come il ferrarista riesca a tenerli dietro in assoluta correttezza. Il quinto classificato, Elio De Angelis, arriva a 1,24” dal campione canadese. Il Canada rimane nelle memoria per una gara alla cieca: sotto la pioggia e con l’alettone anteriore prima piegato, poi di traverso, infine perso con un traverso al tornatone da manuale. Gilles tagliò il traguardo in terza posizione e fu un’opera assurda e poetica.
Il 1982 partì sotto discreti presagi. In Sud Africa si ruppe il motore. In Brasile lottò per la testa della gara finché finì fuori strada con le gomme sfinite dal caldo. A Long Beach arrivò terzo. Ma la Ferrari fu squalificata per l’utilizzo di un doppio alettone posteriore in risposta al sottopeso degli inglesi. Assolutamente memorabile, però, come si oppose a Rosberg… Poi Imola fu la competizione della rottura con il compagno di squadra Pironi. “Mi ha rubato la gara”, disse Gilles. L’animo si ingrigì. Nessuno riuscì a farlo ragionare. Ed eccoci alle prove del Gran Premio del Belgio. Gilles Villeneuve aveva 32 anni. La sua Ferrari entrò in contatto a 227 km/h con la March di Jochen Mass e andò a schiantarsi rovinosamente dopo aver roteato in aria per qualche secondo. Morì nella clinica universitaria di Lovaino circa sette ore dopo, alle 21,12. Quella volta l’Aviatore aveva deciso di prendere il volo e di andare molto più in alto di quanto potesse mai immaginare.
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