L’emozione “no limits” di guidare una TVR Griffith del 1996

Marco Cappelli

“In garage, quando l’accendi, il boato fa tremare i vetri delle finestre, i cani abbaiano, i vicini ti maledicono”: scriveva così, anni fa, un giornalista inglese a proposito di questa accattivante sportiva british che abbina fascino artigianale e performance di puro terrore

 

Siamo negli anni Novanta, l’era moderna dell’automobile: l’elettronica è entrata in maniera preponderante nella produzione automobilistica. ABS, air Bag, aerodinamica efficiente sviluppata al computer, apparati anti slittamento e altri sistemi elettronici di sicurezza sono ormai presenti anche in veicoli di media gamma. Le grandi case automobilistiche devono rivedere i parametri con cui costruire perché le nuove generazioni non tollerano impianti elettrici capricciosi e tagliandi frequenti ma viaggiano all’insegna del “sali, metti in moto e vai”. Alcune piccole factory, però, resistono e in Inghilterra continuano a produrre auto artigianalmente come negli anni Sessanta: la TVR è una di queste.

 

 

 

Youngtimer per palati sopraffini. Telaio in tubi saldati a mano, grosso motore anteriore e trazione posteriore, design originale, leggera carrozzeria in vetroresina, interni in pellame pregiato di squisita fattura, radica e alluminio lucidato. È cosi che viene prodotta la TVR Griffith 500, l’ultima delle vere sportive inglesi, lontana dalle regole del marketing e straboccante di passione e creatività. Di ABS e controlli trazione – neanche a dirlo – non v’è nemmeno l’ombra. La TVR nasce nel 1947 a Blackpool, sulla costa occidentale britannica, con un piccola produzione di Kit-Car sportive a prezzo contenuto. Tali veicoli fanno fronte a un momento di recessione post bellica che facilita nella tassazione i mezzi in scatola di montaggio. Il titolare Trevor Wilkinson, da cui deriva l’acronimo TVR, comincia l’attività modificando vecchi telai di mezzi pre-bellici, montando sospensioni prese dalla produzione del momento; poi, man mano che riesce a perfezionare processi e prodotti, inizia anche a costruire telai da zero. E nel 1958 crea la sua prima auto di rilievo, la Grantura, con motore Coventry Climax di 1.098,00 cc.

 

 

 

Un precedente bistrattato. Da quel momento la TVR entra a pieno titolo tra i costruttori inglesi di auto sportive e, dopo vari up-grade della Grantura e la nascita di modelli successivi, l’azienda passa di mano nel 1966 a Martin Lilley, il quale porta avanti lo spirito sportivo con mezzi sempre più performanti e migliorati ma sempre senza stravolgere la filosofia dell’auto creata manualmente. Anche i prezzi rimangono contenuti, con auto rivolte a una certa “middle class” inglese conservatrice. Occorre però fare una distinzione, con un dovuto passo indietro, dato che una Griffith è già esistita negli anni Sessanta. Andò così: un dealer Ford di Long Island di nome Jack Griffith volle fare concorrenza alla AC Cobra e sostanzialmente ne copiò l’idea, ossia un leggero telaio di un’auto inglese sul quale trapiantare un grosso motore da tanti cavalli. Si fece fornire dalla TVR dei telai della Grantura e ci fece montare i grossi V8 Ford 4.700: nacque così un mezzo di prestazioni elevate ma il telaio, per tutta quella potenza, era inadeguato. Per questo la TVR decise di rimanere solo un fornitore e non volle associare il proprio marchio al piccolo mostro. Tanto che sul cofano del veicolo compariva un badge diverso. Tuttavia, nel tempo il modello è stato sempre migliorato e gli anni Novanta e Duemila gli hanno reso giustizia, dato che nei campionati di velocità storica ha vinto molto ed è ancora ricercato dai collezionisti.

 

 

 

La Griffith dei Novanta. Peter Wheeler, patron della TVR subentrato nel 1984, constatando un progressivo calo di vendite sul finire degli anni Ottanta, deve necessariamente proporre un nuovo modello. Incarica allora il suo ingegnere capo John Ravenscrot, il quale con il suo team progetta una roadster due posti dalle linee sinuose che, con la parte frontale, i fari carenati e il parabrezza avvolgente, ricorda certe sportive anni Sessanta. Il tettuccio ha il classico sistema utilizzato già su altri modelli TVR: una parte rigida staccabile che si ripone nel baule e un lunotto morbido in tela che può essere lasciato teso per una configurazione “Targa” o collassato per ottenere un’apertura totale. Il telaio è preso con poche modifiche dalla race car Tuscan, auto destinata a un challenge monomarca per gentleman driver e giovani piloti aspiranti professionisti. Il motore è il V8 derivato Rover in alluminio già usato per altri modelli TVR, portato 4.000 cc (240 CV). Il modello viene presentato al salone di Birmingham del 1990 ed è subito un successo, i dealers fanno un pieno inaspettato di ordini, tant’è che la TVR non riesce a rispettare le date di consegna: ci sono voluti più o meno 18 mesi per le consegne delle prime Griffith.

 

 

 

Peso e potenza al top. La Griffith è rimasta in produzione fino al 2001 senza modifiche di rilievo; le motorizzazioni hanno goduto di vari up-grade di cilindrata con incremento della potenza fino a 340 CV, mentre la Griffith 500 prodotta dal 1994 è stata “depotenziata” nel 1996 a 320 CV. Nonostante queste dichiarazioni dalla casa madre, da varia letteratura e prove al banco di diversi proprietari, è emerso in realtà che la potenza effettiva di una Griffith 500 si aggira sui 290 CV, che sono comunque molti per un mezzo che pesa 1060 kg. Di fatto questo ottimo rapporto peso-potenza le permette di accelerare in 4,2 secondi da 0 a 100 km/h e in 10,2 secondi da 0 a 160 km/h. Nel 2001 per celebrare la sua messa in pensione, è stata prodotta una serie speciale limitata di 100 pezzi denominata “SE ” con diverse migliorie quali i fari di diametro maggiorato, i sedili più avvolgenti della Coupé Cerbera, i fanalini posteriori rotondi, incassati nella carrozzeria e la plancia cruscotto in metallo satinato “bouchonée”. In totale sono stati circa 2400 gli esemplari prodotti, di cui poco più di 50 con guida a sinistra. Nel 1993, per volere del boss Peter Wheleer, viene affiancata alla Griffith la Chimaera, che condivide telaio e meccanica della progenitrice ma sotto un vestito più British. Deve accontentare una clientela che desidera un mezzo più sobrio, meno appariscente della Griffith e con un bagagliaio più spazioso ma senza differenza di prestazioni. Infatti, da buon gentleman inglese, Mr. Wheleer si lamentava del fatto che sulla sua Griffith faticava a inserire la sacca da golf.

 

 

Seducente e cattiva, ti incolla al sedile. Una breve frase di qualche tempo fa pronunciata da un giornalista inglese riassume l’essenza di quest’auto: “This car puts the smile in your face” (“Quest’auto ti mette in faccia un bel sorriso”). Un’affermazione che da proprietario e driver di una Griffith del 1996 da 14 anni non posso che confermare. Certo, occorre soprassedere su alcuni dettagli e finiture migliorabili, non c’è la precisione teutonica di una BMW. Ma la Griffith 500 è un’auto di tanta sostanza. Quando sei al volante dimentichi tutti i difetti ed entri in una dimensione di esperienza di guida extrasensoriale. Seduto nell’abitacolo ti senti perfettamente avvolto e sei tutt’uno con l’auto, la qualità del pellame e la leva del cambio con il suo pomello in alluminio pieno regalano un vero piacere al tatto. Lo sterzo è preciso e diretto, la servo assistenza non ti toglie la sensibilità ma è giusto un aiuto nelle manovre; il cambio, per quanto un po’ duro, è piacevole da manovrare grazie alla breve corsa tra le marce in puro stile racing.

 

 

Attenti ai colpi di testa (e di pedale). Il motore già dai 2000 giri spinge forte, dopo i 3000 è feroce e sembra possa salire di giri all’infinito. In men che non si dica ti trovi a divorare la pianura con un fragore che ricorda certi V8 delle sport prototipi che vedevo alla 1000 km di Monza da ragazzo. Bisogna prestare attenzione sui tratti di strada con avvallamenti tenendo sempre due mani sul volante, in quanto l’insieme telaio e sospensioni è fortemente reattivo. La ripartizione dei pesi è quasi uguale tra avantreno e retro, e sull’asciutto il grip è ottimo; tuttavia, il passo corto rende il mezzo “nervoso” e occorre dosare sapientemente l’acceleratore, in particolar modo sul bagnato. Va ricordato che la TVR monta sospensioni a triangoli sovrapposti e chi è abituato a guidare auto con l’ormai onnipresente McPherson e non ha mai guidato un go-kart, o altre auto sportive anni Sessanta e Settanta, può sentirsi spaesato alla guida di una TVR. Ma se si è disposti a sacrificare un po’ di comodità e di senso di sicurezza in cambio di emozioni pure, e non adulterate da filtri politically correct, questa è l’auto giusta.

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