Da familiare ad auto da corsa, l’Alfa Romeo Giulietta Ti è sempre una star

Laura Ferriccioli

Come si potrebbe non amare un “giocattolo” performante e intramontabile come la Giulietta Ti? Tanto più se è sempre stata di casa come questo esemplare

Acquistata nuova, eletta auto di famiglia, venduta e ricomprata. Mai vettura fu più amata di questa Giulietta Ti del 1957, passata anche con onore alle corse attraverso due generazioni, padre e figlio. Ha fatto tutto: regolarità all’inizio e poi 5-6 stagioni di velocità in salita del Campionato italiano. Vincendone più d’una, nella classe 1300. “Ci ho corso anch’io e spero di correrci anche quest’anno”, racconta il driver più giovane, Claudio Bambi, detailer e titolare a Scandicci di un’officina di personalizzazioni di automobili. Nonostante anni fa le abbia dovuto perdonare un’ora sotto la pioggia battente senza tergicristalli. “Perché con le cinture allacciate, essendo alto non arrivavo ad azionare la levetta, che è sotto il cruscotto”, racconta. Di fatto la quattro posti ha un assetto di guida innalzato. Anche se, da quando è stata trasformata per correre, i sedili non sono più quelli di serie, ovviamente. E adesso accanto a quello di guida si trova un pulsante per attivare i tergicristalli: guarda caso.

 

Ph.: Lucia Potenza

 

La gara era al Mugello e faceva parte dell’Alfa Revival Cup. La prima disputa si era tenuta a Monza e lì la Giulietta si è fermata già alle prove perché veniva da un lungo periodo di riposo. È finita con una notte di lavoro per la guarnizione della testata. Anche all’ultima corsa cui ha partecipato, a Imola, non è andata meglio, con rottura del cambio a un quarto d’ora dalla fine. Ma, si sa, il punto è che queste vetture agée vengono usate poco: “Anche la Coppa della Consuma, in salita, una volta era di 12 km, ora di 8”, spiega l’appassionato. “Fai una volta il sabato le prove, la competizione il giorno dopo e stop. Mentre in circuito magari dopo un’ora di giri l’auto comincia a scaldarsi e a fare fatica. Il vero difetto della Ti in generale è che frena poco: la mia, essendo preparata, ha tutto migliorato ma non c’è dubbio che con le ruote strette e i freni a tamburo è difficoltosa da guidare. Una volta le ho applicato un dispositivo per misurare la velocità perché quando arrivi a 160-170 km/h in fondo alla staccata di Monza con una Giulietta del 1957 frenare non è uno scherzo. Devi iniziare in anticipo ma devi anche fare un po’ di freno motore. Quindi vai a sollecitare l’auto completamente. Devo dire però che dover pensare alle difficoltà del mezzo fa parte del gioco, rende tutto più intrigante”, prosegue Claudio.

 

 

La Giulietta è un’auto che va rispettata: se non la rispetti la rompi sempre. A tutti piace avere la macchina da corsa, mettere giù il piede al primo giro e sollevarlo all’ultimo. Però con un’automobile del genere fa parte della corsa anche il preservarla, dire per esempio “provo ad aprire piano e poi oso alla fine”, perché se dal primo giro vai sempre fisso col gas, arrivi a metà gara che l’Alfa Romeo Giulietta Ti è fusa, perché è un’auto degli anni Cinquanta”. E ancora più emozionante dev’essere andare a correre con un’auto che è sempre stata di casa: “Mio padre l’avuta da sua zia. Quando sono nato io, nel 1979, lui faceva la regolarità con questa macchina”. La Giulietta è stato il modello che insieme alla Fiat 600 ha rappresentato più di tutti la ripresa del Paese nel Dopoguerra. Era di prestigio, offriva prestazioni superiori alla media ed era accessibile dal punto di vista economico. Fu lanciata dapprima in versione Sprint nel 1954, poi uscì la berlina un anno dopo e nel 1957, appunto, è arrivata la Ti (Turismo internazionale), che fu modificata in seguito, nel 1959 e nel 1961.

 

 

La nostra è una delle primissime Ti”, specifica l’appassionato, che con il padre ha un’ampia collezione di altri modelli storici del Biscione. “Ho la fattura d’acquisto della macchina, pagata 1.525.000 lire, IGE compresa (l’imposta che poi fu chiamata IVA): all’epoca erano soldi”. Una particolarità divertente nel libretto è la vendita e il riacquisto della Giulietta dopo tre mesi. Già, perché quando morì il marito, la zia decise di disfarsi della vettura e la vendette a una cugina a giugno salvo poi tornare sui suoi passi a settembre dicendo che la Giulietta le mancava e che le ricordava il marito. E così l’ha voluta ricomprare. Lasciandola in seguito al nipote, il papà di Claudio. “All’interno i pannelli, il cruscotto, il cielo sono tutti originali. Mio padre un paio di volte ha urtato in gara e quindi la Giulietta è stata aggiustata ma mai restaurata”, spiega il driver.

 

 

La reperibilità dei pezzi, tra l’altro, è sempre di meno. Nel 1957 avevano montato un tipo di cambio che siccome non andava benissimo era stato successivamente cambiato. Quando mi si ruppe, tempo fa, per trovarlo ho dovuto spendere parecchio tempo e soldi. In generale se uno vuol trovare i pezzi mantenendo l’originalità il più possibile non è semplice. Avrei potuto montare anche un cambio a cloche della seconda e terza serie anziché il cambio al volante ma a me e a mio padre dispiaceva bucare la tappezzeria e snaturare l’auto”. Claudio non è nuovo a questo tipo di lavori, sin da bambino è cresciuto in mezzo alle automobili. Anche il detailing ha iniziato a farlo nella stazione di servizio del padre a Scandicci, vicino Firenze, quando era ancora in calzette corte: “Il mio punto forte è sempre stato curare il lavoro per i clienti più esigenti, ricordo che mi piaceva e ci passavo pomeriggi interi”. Un’attività nata quasi per scherzo, quella di Claudio Detail, divenuta poi una passione e una professione. Come in seguito anche la personalizzazione e la preparazione delle auto, soprattutto le Abarth: un servizio a tutto tondo mirato a realizzare pezzi unici.

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