Bugatti EB110 GT, super sotto ogni aspetto

Diego Filippi

Nata trent’anni fa come sintesi della migliore tecnica automobilistica, questa meraviglia ha composto il DNA delle hypercar Bugatti

 

La vita è fatta di storia. Date e ricorrenze che si alternano e si intersecano come un inestricabile tessuto di fili invisibili. A 110 anni dalla nascita di Ettore Isidoro Arco Bugatti, a place de la Défence, a Parigi, veniva presentata la Bugatti EB 110 GT. Era il 14 settembre 1991. Esattamente un anno prima, a Campogalliano, in provincia di Modena, veniva inaugurato il nuovo stabilimento della rediviva Bugatti Automobili, rinascita del leggendario marchio automobilistico fortemente desiderata dall’imprenditore Romano Artioli. Il quale, già il 1 dicembre 1992, consegnava le chiavi della prima Bugatti EB 110 GT al fortunato cliente F. Messner.

 

 

La supercar che ha dato il via alla sua era. Le prime indiscrezioni sulla vettura iniziano a circolare nel 1989. Il progetto reca il numero 035 e riguarda una sportiva a due posti caratterizzata da un telaio in pannelli honeycomb di alluminio, motore posteriore a 12 cilindri a V di 60° sovralimentato, cilindrata di 3,5 litri, trazione integrale con cambio a 6 rapporti. Il progettista è Paolo Stanzani, ingegnere di rilievo proveniente da Lamborghini, per cui firmò il progetto Countach. Nel 1990 le informazioni sono sempre più dettagliate, anche perché la Bugatti stessa inizia a rendere note immagini delle parti meccaniche: il motore, in fusioni di alluminio e magnesio, disporrà di 4 turbocompressori, 4 alberi a camme in testa e 5 valvole per ogni cilindro (tre di aspirazione e due di scarico), comando distribuzione a ingranaggi, bielle in titanio, potenza “addomesticata” in 550 cv a 9.000 rpm e coppia di 53 kgm a 6.000 rpm.

 

 

Leggerezza da strada. Fra le caratteristiche della supercar richieste ai designer esterni, la forma della carrozzeria deve ricordare un aereo da caccia. Vengono esaminate le proposte di Bertone, Italdesign, Paolo Martin e Marcello Gandini, che fornisce la versione più vicina all’idea di Artioli. Ed ecco che il 23 agosto 1990, alle 19, il primo prototipo comincia a muoversi intorno allo stabilimento di Campogalliano. È presente un ingegnere dell’Audi per valutare il sistema di trasmissione adottato, in cui il cambio posto a lato del motore nel medesimo blocco trasferisce il moto alle ruote utilizzando un giunto centrale di ripartizione della coppia rispettivamente 40 per cento all’anteriore e 60 per cento al posteriore, come nella Porsche Carrera 4. Durante la prova, emerge che si sta già valutando un sistema di sospensioni attive – sviluppate da Messier Bugatti – e un telaio in fibra di carbonio, un’autentica primizia tra le auto omologate per l’uso stradale.

 

Fattore Materazzi. Intanto a luglio del 1990 l’ingegner Stanzani aveva abbandonato la Bugatti per irrisolvibili contrasti con Artioli e gli era subentrato Nicola Materazzi. Nel numero di Quattroruote dell’aprile 1991, l’ingegnere campano, che aveva all’epoca già lavorato a diversi progetti Ferrari fra i quali l’F40, spiegava lo sviluppo della vettura e l’utilizzo del telaio in fibra di carbonio prodotto dall’Aerospatiale che, a causa della forma a vasca, sacrificava parte del design della vettura ma garantiva una riduzione del peso del 20 per cento, irrigidendola del 250 per cento rispetto alla struttura originaria. Sempre in tema di avanguardia, i freni a disco erano realizzati in fibra di carbonio, mentre la vettura vantava un cx di 0,28. Il disegno di Gandini si distingueva per la linea a cuneo, per il sottoscocca carenato, un alettone posteriore estraibile e due ventilatori in coda atti a evacuare il calore dal vano motore. Le prestazioni del motore maggiormente sviluppato, consentiva di mantenere la potenza originaria di 550 CV ma a 8.500 rpm, aumentando la coppia motrice a 60 kgm a 4.500 rpm. Non erano ancora state deliberate definitivamente le sospensioni attive, ma intanto i test proseguivano con la stampa sempre più interessata a questa belva, che era anni luce avanti rispetto alla concorrenza. Si trattava di una vettura che si proponeva di essere veloce, sicura, comoda e bella. In pratica, il biglietto da visita che qualsiasi produttore di autovetture vorrebbe per le sue creazioni.

 

 

I risultati delle prove. La EB110 fu testata a ogni latitudine per verificare la perfetta efficienza della trasmissione integrale. Test con pendenza del 40 per cento con soli pneumatici invernali, specificamente messi a punto da Michelin, dimostrarono l’equilibrio e la corretta funzionalità della ripartizione della coppia motrice tra i due assali. Segno che il progetto originario era nato sano, grazie anche all’apporto di un tecnico visionario sconosciuto: Oliviero Pedrazzi, che indicava le soluzioni lasciando agli ingegneri il compito di definire la resistenza e i materiali necessari. I cerchioni erano realizzati dalla tedesca BBS e ospitavano i pneumatici Michelin MXX3 da 18”: 245/40 con canale da 9” davanti e 325/30 con canale da 12” dietro. Infine, il design della vettura, ormai prossima alla presentazione: Marcello Gandini non intendeva assolutamente mettere mano alla sua carrozzeria, ritenendola corretta e intoccabile. Artioli la giudicava però troppo contemporanea, poco futurista e, soprattutto, poco “Bugatti”. Decise allora, di fronte all’irremovibilità del maestro torinese, di attualizzare le linee coniugandole nello stile della casa di Mulhouse tramite l’intervento dell’architetto Giampaolo Benedini, già autore della fabbrica Bugatti di Campogalliano, nonché gentleman driver e parente di Artioli.

 

 

Vive la Marque! L’architetto inserì il simbolo stilizzato della marca (il celebre ferro di cavallo) sulla porzione superiore della presa d’aria anteriore ed eliminò i fari a scomparsa tanto cari a Gandini rendendoli fissi in posizione tale da illuminare bene la strada. Addolcì anche le forme spigolose secondo le indicazioni emerse in galleria del vento, rendendo così la carrozzeria più affine alla proposta originaria dell’Italdesign. L’ala posteriore si sollevava automaticamente oltre la velocità di 120 km/h per poi rientrare in posizione di riposo a 80 km/h. L’accesso alla vettura, era comandato dalle maniglie inserite a filo della porzione superiore della bassa presa d’aria, con le due porte che ruotavano in avanti sollevandosi ottenendo un risultato d’effetto aeronautico. Il capolavoro era ormai pronto: gli interni rappresentavano la massima espressione estetico-funzionale con l’impiego di materiali pregiati, ovvero pelle e radica, e un disegno di rigature orizzontali sulla moquette. Mentre sui sedili, cosciali e poggiatesta compariva il medesimo decoro invertito di 90 gradi. I sedili erano a comando elettrico e furono realizzati dalla Poltrona Frau, mentre l’impianto audio fu sviluppato dalla Nakamichi. Alla presentazione parigina fece da padrino un emozionato Alain Delon quale perfetto testimonial di fascino e discrezione alla francese per la neonata Bugatti.

 

 

Glorioso naufragio. Tuttavia l’avventura, nata sotto i migliori auspici come realizzazione dell’autovettura più all’avanguardia del mondo, fu gelata nel giro di qualche anno da un mercato scopertosi meno ricco di quanto immaginato. Un po’ come già era avvenuto per la Bugatti Royale, il cui progetto si salvò per la provvidenziale necessità di realizzare dei treni ad alta velocità. Rimane il rammarico per la fine dell’avventura Bugatti-Artioli e della successiva avventura Bugatti-Piech. D’altronde, non sempre è possibile replicare i fasti del passato. Mentre il prezzo con cui cambiano proprietà le poche Bugatti EB 110 GT esistenti testimonia la mai sopita ammirazione per un grande sogno.

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